«In memoria di me»

«Memoria», nel contesto della Bibbia, ha una densità e una consistenza che va assai al di là dell’uso che noi facciamo di questo termine.

Per noi «memoria» è ricordare, di anno in anno, un  avvenimento di gioia che ci ha interessati o rinnovare la tristezza per un fatto di dolore e di morte che ci ha visti nella sofferenza.

Così «facciamo memoria» della nascita, del matrimonio, della consacrazione religiosa, del sacerdozio… facciamo memoria delle persone care che ci hanno lasciato… Ricordiamo avvenimenti, persone che nel passato, ci hanno toccato nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore.

            Per la mentalità dell’uomo biblico, le cose sono molto diverse: «fare memoria» è rendere presente un avvenimento con la stessa forza, con la stessa passione, con le stesse caratteristiche con cui esso si è compiuto qualche anno prima o, addirittura, qualche secolo prima.

            E così, solo per fare un esempio, l’ebreo che nella notte della prima luna piena di primavera celebra la Pasqua ancora oggi, e fa memoria della liberazione che Dio ha operato nel XIII secolo a.C. per mano di Mosè, ripete con forza che «questa festa noi la celebriamo perché Jawhè ha liberato dal nemico noi e i nostri padri».

            Fare memoria è dunque molto di più che un ricordare, è un «rivivere al presente tutta quella consistenza di realtà e persone che hanno segnato il passato». E’ richiamare nell’oggi e rivivere da protagonisti, da diretti interessati, tutto ciò che si vuol ricordare.

            Questa stessa ricchezza del termine siamo chiamati a riconoscerla anche in quel «fate questo in memoria di me» che Gesù dice nella cena pasquale, l’ultima, che sta celebrando con i suoi apostoli. Così «fare in memoria di lui» vuol dire ricordare con forza il passato, quello di Gesù Cristo, perché in lui trova senso anche il presente, o meglio perché quel passato trova senso e compimento nel presente.

            Così possiamo esplicitare meglio quello che Gesù ci vuol dire: «Ogni volta che spezzate il pane e condividete il vino… ricordatevi di me, rendetemi presente con la stessa forza con la quale io ora mi sto offrendo per voi e per tutti.

            «Ricordatevi di tutto ciò che questa offerta vuol essere: l’offerta di me, di tutto di me, l’offerta che ho lentamente costruito e preparato disponendomi, giorno per giorno, al dono.

Ricordatevi la fatica  di questo dono: ha con sé l’esperienza della morte, di un venerdì difficile da dimenticare ed estremamente difficile da far entrare dentro le vostre categorie.

            «Ricordatevi che ciò che mi conduce alla morte è certo il mio offrirmi ma, al tempo stesso ed in un intreccio difficile da sciogliere, è anche l’essere martire per la giustizia lottando contro il potere, contro ogni forma di dominio e contro l’egoismo.

            «Ricordatevi… ogni volta che spezzate il pane in mia memoria».

            Fare memoria oggi di tutto questo, vuol dire rendere presente questa grande realtà di dono e di offerta compiuta in Gesù di Nazareth come evento che mi riguarda, che mi salva, che mi annuncia l’amore del Padre fino alla fine e che mi apre nuove possibilità.

Significa anche dire che tutta questa realtà è presente anche in quei gesti di amore e di dono che io so compiere e che altri, attorno a me, pongono ogni giorno.

E’ dire che mi è data la possibilità di celebrare Eucaristia come memoriale anche nel mio essere madre e sposa… nel mio donarmi ogni giorno in gesti di attenzione, di premura, di servizio, anche i più semplici e nascosti, nel mio dare spazio alla vita.

            Memoriale che si attua nel mio essere padre e sposo, nel modo di assumere il lavoro e la fatica come gesto di offerta per me e per il bene dei miei che sono chiamato a sostenere e a generare continuamente nella bontà e nell’amore.

Memoriale nel mio essere attento ai poveri, agli anziani, agli emarginati e nel mio offrire qualche cosa per sollevare la loro povertà e miseria.

            Memoriale che si realizza nel mio essere disponibile ai bisogni di una comunità e di una chiesa nella quale sono chiamato ad essere protagonista; nel mio lottare perché ogni forma di sopruso e dominio venga eliminata dalla mia società, perché la politica sia liberata dagli intrighi, dall’arrivismo e da ogni forma di interesse partitico, perché dall’economia sia rimossa ogni tentazione di dominio sul povero e ogni forma di ingiustizia; nel mio non accettare compromessi con il più forte e nel non svendere la mia dignità per una bustarella per guadagnare una posizione a scapito di chi ha meno possibilità di me anche se è più preparato di me.

            Memoriale che si compie nel mio coraggio di schierarmi a favore di tutti quei movimenti che cercano giustizia e pagano di persona l’ideale e il sogno di una società più a misura di uomo e più sensibile ai poveri e agli ultimi.

Ecco… in tutto questo l’Eucaristia di Gesù è una memoria che continua e si rende presente.

            Poco alla volta comprendiamo che il culto più vero e più grande non è quello che esprimiamo nel rito, ma quello che realizziamo nella storia, nell’esistenza; il rito sarà vero nella misura in cui diventa celebrazione di una realtà alla quale mi sono conformato e alla quale tendo con tutto me stesso.

Senza questa forza della concretezza, anche il rito più bello, anche la celebrazione più appassionante, finiscono per essere sterili.

Occorre imparare a riconoscere il «corpo del Signore» nella nostra vita concreta, nella nostra solidarietà vissuta ogni giorno. Questo è «fare memoria».

            Ma c’è di più.

            Vorrei cogliere quel «fate questo in memoria di me» unito a quella espressione di cui si fa testimone il vangelo di Luca: «finché non venga il Regno di Dio». Ecco: fino alla fine dei tempi questa «memoria» è la memoria decisiva. A lei, come gesto di amore e di dono, bisogna continuamente rifarsi.

Questo gesto è già appartenente al Regno definitivo e si pone come metro di verità e come giudizio per ogni cosa e ogni realtà.

            Vorrei dire che ogni gesto deve essere passato al vaglio dell’Eucaristia per sapere se davvero è un gesto del Regno, se è gesto che già apre alla novità o se invece è uno di quei gesti vecchi che non costruiscono.

L’Eucaristia diventa allora momento centrale, fatto sconvolgente, gesto che svela la consistenza o l’inconsistenza di certi gesti, di certe scelte, di certe prese di posizione.

«Fare memoria» in verità e con coraggio allora, ci dispone a mettere ogni nostro gesto davanti all’Eucaristia per chiederci cosa, davvero, sta manifestando, quali logiche lo suggeriscono e lo stanno rendendo possibile.

Si tratta di leggere la storia, personale e comunitaria, alla luce di questo gesto determinante e fondamentale perché solo in esso c’è la verità che Dio ci ha fatto conoscere.

            Se vivessimo l’Eucaristia, quante cose sapremmo leggere con occhio diverso e quante cose apparirebbero nella loro più profonda verità: cose da assumere o da denunciare con forza.

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